A parte i primi irreali giorni dopo la morte di Eva, nessuno mi ha più chiesto come può aiutarmi, cosa può fare per noi.
E’ una domanda che non amo, suona assurda allo stesso modo di “come stai?”, puzza di ipocrisia e di cibo scaduto.
Delle persone che sento accanto nessuno mi farebbe mai a parole una domanda del genere, e non solo perché alle persone diversamente simpatiche si ha paura ad avvicinarsi.
Eppure noi sentiamo affetto ed amore ogni volta che decidiamo di ascoltare (non capita spesso, lo so: oltre alla voce poetica del mio GiovaneEroe ricerco nel vento solo la voce del passato).
In ordine sparso potrei parlare dei passi fatti con molte persone, mio fratello, mio fratello, mio cugino, mia cugina, mia zia (anche se i piedi non sono più quelli che macinavano km col passeggino, il passo resta al passo del pronipote, e questo è allenamento quotidiano), mia madre, mio padre (e grazie al cielo che in famiglia ci sei stato tu, capace di parlare ai sentimenti), lo zio, mia cognata e mia cognata, per non dire i miei nipoti, piè veloci e cuori enormi.
Potrei parlare di gite a Fontanellato solo per piangere sotto il tondo “respice finem”, o di passi veloci con la tata verso il Monumentale, di giri per il parco della clinica osservando i faggi con le uniche due persone che sento legate al mio passato, o dei giri del parco davanti al mio analista ripetendo come un mantra Cumfinis Cumfinis.
Ci sono i passi veloci delle mattine che posso portare il mio IndomitoViaggiatore a scuola e quelli della sera col cane a respirare la nebbia con QuasiMarito, perché non abbiamo bisogno di vederci per sentirci.
Infiniti altri sono gli esempi, un piede davanti all’altro, inspirare, espirare. La lista la completerò andando: qui voglio parlare di camminate che nel loro essere fuori dal tempo e dallo spazio arrivano ad affacciarsi sull’abisso che si allarga dove prima avevo un progetto di vita.
C.&C., le mamme di due dei migliori amici che Eva abbia mai avuto nella sua breve ed indescrivibilmente ricca vita. Due bambini stupendi, amici del cuore di una bambina stupenda.
“andiamo a camminare, all’ora che vuoi, mattina, sera, notte. Se non vuoi parlare ci mettiamo le cuffie e sudiamo in silenzio”. Me l’hanno ripetuto per tanto tempo, mesi, molti mesi. Non mi hanno detto: chiama se hai bisogno. Mi hanno detto: facciamo questa cosa insieme, e non devi parlare, non devi decidere. Noi ci siamo.
Da prima dell’estate lo facciamo. Alle 6.00 del martedì mattina ci troviamo e camminiamo al buio, all’alba, alla nebbia, alla città che si sveglia, al caffè col quale ci salutiamo prima di andare a casa a svegliare i figli. Ridiamo molto; parliamo, anche di Eva, la ricordiamo; parliamo e sparliamo delle maestre, dei compagni comuni, del quotidiano; abbiamo la voce alta, le case che si affacciano sul parco ci sopportano pazienti. A volte incontriamo qualcuno che conosciamo, dà uno strano senso d’intimità incrociarsi in ore inusuali in abiti inusuali in contesti inusuali.

So che ogni martedì mattina, quando suona la sveglia e penso ai km in loro compagnia, mi alzo non proprio facilmente, ma sicuramente le raggiungo con un sorriso.
Lexa stamattina si è nascosta per non farsi portare fuori. Una defezione ogni tanto non vuol dire niente. Ci vediamo, tutte, bipedi e quadrupede, martedì prossimo.