Lavertezzo, il sentiero etnografico Revöira. 

04.11.2017


Ci sono luoghi che incantano gli occhi senza possibilità di scordarli, anche se poi gli anni li contaminano di paesaggi simili, limature, suggestioni a volte provenienti da altri luoghi. Resta però l’emozione che apre il respiro e spalanca gli occhi ogni volta che ci si torna.


Lavertezzo, il sentiero etnografico Revöira.
Un percorso ad anello, doveva essere in piano, doveva essere di un paio d’ore.

Sale in mezzo ai castagni per 500 metri di dislivello continuo. Dopo due ore siamo a un passo dalla metà. Decidiamo di rimandarne la chiusura ad altra data, torniamo indietro; io di sera lavoro e Davide vuole passare “almeno mille ore” sul fiume.

Superare i muri…

Lo splendore del paese, pietre scure e macchie di colore, fiori, ceramiche, pitture; Chiesa severa e pecore in passaggio. Lo splendore del bosco, il soffice tappeto di foglie dorate, i ricci, il profumo di autunno. Lo splendore del passo veloce di mio figlio, parte e creatore di ogni incanto.

La prima reazione è Non me lo aspettavo. 

Nel bene e nel male non me lo aspettavo è la cifra della mia vita.

Imparare a scorrere, fidarsi, la soluzione.

Opporsi come masso nel fiume la tentazione, inutile ma continua.
Non mi aspettavo peggiorasse così la nostalgia, la mancanza, il vuoto che nulla può riempire.

Non mi aspettavo che il paesaggio del fiume mi ripiombasse così potentemente indietro.

Altre gite, i bagni, il tempo facile di quando sembrava possibile crederci.
Il fiume intaglia la roccia come pietra lunare.

Come a Pieve, bambina io con i miei fratelli, e poi madre con i miei figli. 

Come altre pozze qui in Ticino, la Breggia, la Maggia, estati assolate e “dove andiamo oggi, ragazzi?”. 

Eva amava l’acqua fredda. Solo dopo avere iniziato la chemioterapia il corpo si è pian piano raffreddato; al mare, verso la fine, foto di bambini sorridenti sul muretto di Camogli. Tre vichinghi nudi ed una regina degli elfi in strati di golfini, pantaloni pesanti e stivali. Una benda a coprire un occhio, il sorriso che fatica ma illumina.
Davide esplora le rocce, la sera scende veloce. L’acqua mi incanta e mi chiama, ma non è giorno di bagno, non c’è tempo. O forse non ho solo più nessuna voglia di perdere il respiro e rabbrividire.


Prendiamo la strada del ritorno, anche il cane è stremato, ma sembra sorridere appagata, con la sua lingua storta. Piegata dalla stessa parte della sua padrona.

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