Piani di Artavaggio

29.10.2017


Cuore, oggi Andiamo ai Piani di Artavaggio? Quelli dove, più di sette anni fa, Eva in marsupio è salita con me, zio Paolo e zia Franci? Si, dove abbiamo fatto le foto nelle quali ride ed ha il fazzoletto a quadri colorati in testa. Si, quelle che sono appese a Pieve. Vero, non me lo ricordavo, dove aveva schifato il pranzo di verdure di nonna che avevamo portato nel termos e mangiato la polenta in rifugio. Era col gorgonzola? Le è sempre piaciuto tanto il formaggio. La nonna l’avrà sgridata? Non me lo ricordo. Sicuramente lei sarà rimasta indifferente alla riprovazione nonnesca, salda nel suo diritto di scegliere per suo gusto. Allora, andiamo? Andiamo.
Non so quante volte l’avevo già proposto al Claudio di andare ai piani di Artavaggio. Dove sono? Non ne ho idea, ci aveva portate Zio.

Oggi ho scoperto che sono davanti al Resegone. Davide ha molto apprezzato la storia della resega, che il padre gli ha raccontato durante il viaggio in auto. Quasi quanto quella di Frate Salimbene da Parma, che narrata in podcast da Barbero ci accompagna da mesi. 
Ai Piani di Artavaggio si arriva con la funivia. Oggi è chiusa. Decidiamo di salire da Moggio, 900 mi di dislivello, 3 ore di passeggiata (o meglio, 3 ore sui segnavia del cai, nella nostra pianificazione diventano almeno 5).
Non ce la faccio. Ci fermiamo a due terzi del cammino. Da alcune settimane mi trascino una cosa dal nome complesso ma dalla clinica semplice: ho una specie di asma dopo infezione respiratoria. Devo portarmi dietro i puff come il nonno. Ovviamente ho dimenticato il symbicort casa.

Ovviamente inizio a fischiare come un treno a metà cammino, tengo duro un po’, poi cedo.
Torniamo, maschi?

Torniamo amore, non c’è problema. Fermiamoci a raccogliere le castagne.


E Marito spiega a suo FiglioErrante cosa vuol dire Serendipity. Io faccio finta di saperlo. 

Come faccio finta di non dispiacermi per non essere arrivati in cima per colpa mia.
Penso a mia figlia. Come ogni volta che avverto il minimo fastidio fisico penso a ciò che ha attraversato lei, nella sua breve e luminosa esistenza.

A ciò che ci ha fatto credere non fosse dolore, paura, angoscia.
Non ho mai riflettuto sul concetto di Grazia. Concetto metafisico? Spirituale? Estetico? Filosofico?
Da quando Eva si è ammalata ed ha iniziato la sua strada di cure, strada non unica ma parallela nella sua vita di bambina, la parola Grazia è lei. Lei che non si oppone e non si lamenta, che mi sorride saggia e lontana quando ancora le giuro che guarirà e che la porterò in Australia a vedere i canguri.

Grazia è mia figlia, che senza tante parole ha sempre trovato il senso.
Prendiamo tantissime castagne. Ci pungiamo coi ricci, ridiamo, facciamo scricchiolare le foglie sotto gli scarponi.
È stata una gita anarchica. 

Anche il cielo lo era, oggi. Vento, arabeschi di nuvole e, tornando a Milano, un tramonto d’oro e fuoco, come un miraggio nel deserto.

Davide ha fatto delle foto, tirando fuori serio la macchina fotografica dallo zaino pieno di castagne. 

“Mamma, per te”.

In realtà questa foto scadente l’ho fatta io con l’egofono, quelle di Davide sono da scaricare.

2 pensieri riguardo “Piani di Artavaggio”

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