Maggio

Maggio 2018

Maggio finalmente è finito.

Mi è venuta in mente questa frase ora, mentre accanto al mio PoetaGuerriero che si è appena addormentato leggo qualche pagina di libro prima di andare a dormire a mia volta e ripenso alla camminata di oggi, a Selvino.

Cosa vuol dire che maggio “finalmente” è finito? Nulla.

La pioggia continua e magnifica di questo mese non ha lavato proprio nulla, non ha stemperato rabbia disperazione colpa o insensatezza. Ne ha diminuito il bisogno di andare, sempre, in ogni condizione.

La neve del primo maggio con le ciaspole in Valtellina, le colline toscane respirando e ricercando Spirito, il monte Tamaro e la fatica di non prendere la cabinovia…

Io cammino sentendomi una Demetra incendiaria, la rabbia cresce senza sosta, nulla appunto lava via il continuo ripensare e non capire. O capire con una lucidità eccessiva, che mi brucia gli occhi e mi blocca la gola. Solo il sudore ed il dolore a fine giornata spengono per un attimo il circuito. Per questo motivo, pur non avendo mai smesso di camminare, ho sentito di non dover scrivere, in questi mesi.

Il primo anno dalla morte di Eva, ovvero il sei, l’abbiamo passato a Pontresina, percorrendo la Val Roseg e cercando in ogni albero ed ogni respiro del bosco una risposta.

Ma la risposta la vedo in Davide, che cammina come un cucciolo che gioca e come un saggio che osserva. Che cammina e non guarda il tempo, non sente la fame, non ha bisogno di arrivare per sapere.

La risposta la vedo in Claudio, che ci tiene come un Pastore, che ci guida e non si perde. O se si perde inventa per tutti noi una riposta, ex è sempre quella giusta.

C’è stata anche la festa della mamma, a maggio.

L’ abbiamo passata camminando incontro al lago di Montorfano, parlando tanto e sfogliandoci i pensieri (“mamma, sai che io ho imparato da mia sorella l’importanza di essere mancini?” Certo amore, sensazioni, cuore e anarchia… tu senso e navigatore di simboli)

Infine c’è stato il mio compleanno, ieri. Di corsa dopo il lavoro siamo partiti per Selvino, noi i nipoti ed i nonni. Una ben colorata carovana tanto chiassosa quanto illuminata.

Il chiasso e la fatica mi hanno distratta, ieri sera. Visti i nostri cronici ritardi abbiamo cenato in autogrill. Il posto perfetto, un non luogo per un non festeggiamento, che però è stato ed ha significato.

Oggi, lasciati i nonni a prendere il sole a fondo pista, siamo saliti sul Monte Purito, dove quest’inverno, fuggendo il Natale, Davide ha sciato con tanta soddisfazione, accompagnato dal tifo del nonno.

La passeggiata è stata calda di pioggia non scoppiata, non lunga (il mio nuovo fit bit mi segnala ormai al millimetro ogni passo fatto. Grazie Cuori di accompagnarmi in ogni pezzo di strada), non faticosa.

Abbiamo pranzato in cima; il rifugio a fine seggiovia, come la seggiovia stessa ed il parco avventura, era chiuso e donava al nostro pomeriggio quel tocco di irreale che tanto mi affascina e mi porta via.

I 4 mini esploratori si sono avventurati lungo le “trincee” (ineludibili fantasie di guerre eroiche, finché l’eta non svelerà la vera faccia della battaglia), io e claudio ci siamo dilungati in chiacchiere e silenzi sulle sdraio della terrazza abbandonata.

Il cielo nero non ha mantenuto la promessa fatta fin da mattina, ma la bellezza mobile ed evocatrice delle nubi ci ha incantati anche nel ritorno.

Maggio è finito.

Santa Naga

13 gennaio 2017

Una passeggiata nella campagna e nei boschi della Brianza, a zonzo, liberi, senza aver creato un itinerario ma facendoci portare per alcune ore dal l’ispirazione del momento e dalla fantasia del GiovanePoeta.

Quelli vicino a Fecchio sono boschi di castagni, faggi, olmi. Fitte macchie che si aprono su prati che chiamano alla sfrenatezza, corsa, urla, capriole.

Io e l’OggettoDiTuttaLaMiaStima (oltre che di tutto il mio amore, ma ė sottinteso), osserviamo la gara fra mini cane e seienne magico da lontano.

Non riesco a trattenere un sussurro, anche se suona patetico alle mie stesse orecchie

“Amore, se devo pensare un posto dove Eva mi verrà incontro, lo immagino così. Questo prato, questo cielo, questa aria…”

Mentre claudio mi stringe per un fugace abbraccio svincolato dall’universo, Davide si gira e dalla fine del prato grida: “ma questo è proprio il Paradiso”.

Noi ci guardiamo, non è necessaria nessuna parola.

Campra

28.12.2017

Ho sempre vantato una salute eccellente. Nonostante tutto, nonostante la fatica, la paura e la tensione, c’era una leggerezza talmente felice e facile nello stare con Claudio ed i figli che faceva sì che tutto il peso fosse secondario.

Ora la mia salute vacilla. O meglio, le mie energie hanno un buco che non riesco a tappare. O forse non trovano un alveo dove scorrere e inondano tutto ciò che di buono posso aver negli anni costruito.

Non so.

So che devo fare i conti con limitazioni fisiche che non conoscevo.

Durante il periodo natalizio io e claudio ci siamo drogati guardando le prime due serie di Gomorra (durante l’estate con Eleonora avevo finito tutte quelle disponibili di criminal Minds ed ero un po’ in astinenza…).

Nell’ultima puntata della seconda serie Don Pietro parla di Ciro coi suoi che gli riferiscono come costui sia ancora un problema.

Lui risponde qualcosa che suona così: adesso allora lo scassiamo definitivamente.

E gli fa uccidere la figlia.

Ecco, scassata è esattamente la parola che cercavo e non mi sarebbe mai venuta in mente spontaneamente.

Però anche i catorci più orrendi a volte hanno qualche aspetto che continua a funzionare.

Ed incredibilmente ci sono momenti in cui ci credo.

Un esempio?

Facile, la ciaspolata che abbiamo fatto coi cugini a Campra.

Campra è un luogo incantevole, prima del passo del Lucomagno, fra Ticino e Grigioni.

Erano anni che claudio ci proponeva di andarci, memore di vacanze da fondista in era pre Famiglia.

Non c’è mai stata occasione di farlo, fino a queste vacanze invernali.

Abbiamo approfittato di una mia giornata di recupero, della presenza dei cugini (il Cugino di passaggio dalla California, la Cugina in partenza per Roma), della voglia di Davide di provare le ciaspole che Claudio gli ha regalato a Natale e siamo partiti.

Mio fratello Andrea ha letto, durante la cerimonia funebre di Eva, uno scritto perfetto.

E nella perfezione di ciò che ha sottolineato, ha descritto benissimo il legame che mi unisce ai Cugini, che li ha legati ad Eva ed ora accompagna Davide nella sua crescita.

Esattamente il legame che auguro a mio figlio di creare con i magnifici nanetti della nostra banda. Banda della quale una ed una sola era la Regina, e sono certa in qualche modo continui ad esserlo.

La ciaspolata che abbiamo fatto è stata una passeggiata fiabesca, bianca, incantata, completamente nostra e delle risate che sono riecheggiate ovunque fra un agguato e l’altro.

Un anello in piano, circa due ore (incluse le capriole nella neve), circondati da montagne il cui splendore riconcilia col creato.

Dopo pranzo i maschi indomiti sono usciti per un secondo giro. Io e zia Paola ci siamo date al sudoku ed alle parole crociate, le mie batterie erano a zero.

Ma arrivare a zero così, va bene. Soprattutto perché non spaventa il GiovaneGuerriero pronti ad ogni battaglia, ma non a perdere i punti di riferimento che lo accompagnano…

Monte Carasso Curzútt Ponte Tibetano

11 novembre 2017

La funivia che da Monte Carasso porta a Curzútt parte all’una. Sono le 12.30.

Cosa facciamo? Cuore cosa preferisci? Iniltile chiedere al mio GiovaneUrone (il nuovo taglio di capelli sembra fatto a lama nuda). Andiamo, mamma. Andiamo vita mia. Seguo la tua saggezza istintiva.

Un giro ad anello fatto e finito quello di oggi.

Iniziamo la dura salita, la strada è stretta, i gradoni a massi alti e i castagni fitti. Davanti a noi si aprono paesaggi suggestivi, sotto di noi l’orrore della periferia di Bellinzona non abbandona la vista.

Cuore sali come Orfeo, mi raccomando non voltarti.

Davide più o meno la vicenda la conosce, la ripassiamo assieme, inventando passaggi e limando incongruenze.

Non l’ha ancora abbandonato la passione (consolatoria?) per il Mito e la Storia.

Spero lo accompagni per sempre. E lo consoli nel momento del bisogno,

Con me non funziona più, ma la sua struttura è infinitamente migliore.

Arriviamo a Curzútt provati, salendo le ultime curve sentivo la schiena gemere. Il borgo è un gioiello il cui recupero mi incanta.

Pranziamo, abbiamo portato pane e formaggio, qualche fetta di salame ed un dolcino. Ad Eva questo pic nic sarebbe piaciuto tanto quanto è piaciuto a noi. Ed avrebbe adorato il parco giochi con il ponte fra gli alberi. Come facesse ad amare i ponti traballanti e non avere vertigini resta un mistero. Uno dei tanti.

Il ponte vero ci aspetta, abbiamo ancora un pezzo di cammino, meglio mettersi in marcia.

Una sosta dovuta presso la chiesa di San Bernardo. Apprezziamo gli affreschi, preferisco la vista.

La salita è ancora lunga (scoprirò solo in serata dal sito del Cai di Mombellolaveno che abbiamo fatto 10 km e 650 m di dislivello, il tutto sforando solo un’oretta i tempi previsti, sono molto fiera!), .

Sono stanca e sudata, mi fanno male i piedi e le ginocchia. Non ci faccio caso concentrata sui passi, lo capisco solo a sera, in questa salita non ho pianto.

È questa la soluzione? Tramortirsi?

Non lo so. So che la mia mano destra non smette di cercare la sua. Nulla bilancia il mio passo, ora. Eppure oggi ho apprezzato questa vista sul mondo davvero.

A volte mi sembra una bestemmia

Altre un prodigio.

Il ponte tibetano è impressionante.

270 metri, un’unica campata. Sembra di fluttuare nel sogno.

Davide è concentrato e ben consapevole. Un GiovaneUomo che esplora con attenzione il mondo.

Un GiovanePoeta che mi racconta il paesaggio e la vita.

Scendiamo mentre scende la notte.

Le frontali ci aiutano, il buio ci coglie a metà cammino e ci accompagna a valle.

Il buio e la stanchezza invogliano il silenzio e le riflessioni.

Non c’è spazio per la paura, forse ce n’è per riflettere in libere associazioni.

Cosa ho fatto di buono per te?

Quando era il momento giusto tu c’eri. Ci sei sempre stato.

Lavertezzo, il sentiero etnografico Revöira. 

04.11.2017


Ci sono luoghi che incantano gli occhi senza possibilità di scordarli, anche se poi gli anni li contaminano di paesaggi simili, limature, suggestioni a volte provenienti da altri luoghi. Resta però l’emozione che apre il respiro e spalanca gli occhi ogni volta che ci si torna.


Lavertezzo, il sentiero etnografico Revöira.
Un percorso ad anello, doveva essere in piano, doveva essere di un paio d’ore.

Sale in mezzo ai castagni per 500 metri di dislivello continuo. Dopo due ore siamo a un passo dalla metà. Decidiamo di rimandarne la chiusura ad altra data, torniamo indietro; io di sera lavoro e Davide vuole passare “almeno mille ore” sul fiume.

Superare i muri…

Lo splendore del paese, pietre scure e macchie di colore, fiori, ceramiche, pitture; Chiesa severa e pecore in passaggio. Lo splendore del bosco, il soffice tappeto di foglie dorate, i ricci, il profumo di autunno. Lo splendore del passo veloce di mio figlio, parte e creatore di ogni incanto.

La prima reazione è Non me lo aspettavo. 

Nel bene e nel male non me lo aspettavo è la cifra della mia vita.

Imparare a scorrere, fidarsi, la soluzione.

Opporsi come masso nel fiume la tentazione, inutile ma continua.
Non mi aspettavo peggiorasse così la nostalgia, la mancanza, il vuoto che nulla può riempire.

Non mi aspettavo che il paesaggio del fiume mi ripiombasse così potentemente indietro.

Altre gite, i bagni, il tempo facile di quando sembrava possibile crederci.
Il fiume intaglia la roccia come pietra lunare.

Come a Pieve, bambina io con i miei fratelli, e poi madre con i miei figli. 

Come altre pozze qui in Ticino, la Breggia, la Maggia, estati assolate e “dove andiamo oggi, ragazzi?”. 

Eva amava l’acqua fredda. Solo dopo avere iniziato la chemioterapia il corpo si è pian piano raffreddato; al mare, verso la fine, foto di bambini sorridenti sul muretto di Camogli. Tre vichinghi nudi ed una regina degli elfi in strati di golfini, pantaloni pesanti e stivali. Una benda a coprire un occhio, il sorriso che fatica ma illumina.
Davide esplora le rocce, la sera scende veloce. L’acqua mi incanta e mi chiama, ma non è giorno di bagno, non c’è tempo. O forse non ho solo più nessuna voglia di perdere il respiro e rabbrividire.


Prendiamo la strada del ritorno, anche il cane è stremato, ma sembra sorridere appagata, con la sua lingua storta. Piegata dalla stessa parte della sua padrona.

Piani di Artavaggio

29.10.2017


Cuore, oggi Andiamo ai Piani di Artavaggio? Quelli dove, più di sette anni fa, Eva in marsupio è salita con me, zio Paolo e zia Franci? Si, dove abbiamo fatto le foto nelle quali ride ed ha il fazzoletto a quadri colorati in testa. Si, quelle che sono appese a Pieve. Vero, non me lo ricordavo, dove aveva schifato il pranzo di verdure di nonna che avevamo portato nel termos e mangiato la polenta in rifugio. Era col gorgonzola? Le è sempre piaciuto tanto il formaggio. La nonna l’avrà sgridata? Non me lo ricordo. Sicuramente lei sarà rimasta indifferente alla riprovazione nonnesca, salda nel suo diritto di scegliere per suo gusto. Allora, andiamo? Andiamo.
Non so quante volte l’avevo già proposto al Claudio di andare ai piani di Artavaggio. Dove sono? Non ne ho idea, ci aveva portate Zio.

Oggi ho scoperto che sono davanti al Resegone. Davide ha molto apprezzato la storia della resega, che il padre gli ha raccontato durante il viaggio in auto. Quasi quanto quella di Frate Salimbene da Parma, che narrata in podcast da Barbero ci accompagna da mesi. 
Ai Piani di Artavaggio si arriva con la funivia. Oggi è chiusa. Decidiamo di salire da Moggio, 900 mi di dislivello, 3 ore di passeggiata (o meglio, 3 ore sui segnavia del cai, nella nostra pianificazione diventano almeno 5).
Non ce la faccio. Ci fermiamo a due terzi del cammino. Da alcune settimane mi trascino una cosa dal nome complesso ma dalla clinica semplice: ho una specie di asma dopo infezione respiratoria. Devo portarmi dietro i puff come il nonno. Ovviamente ho dimenticato il symbicort casa.

Ovviamente inizio a fischiare come un treno a metà cammino, tengo duro un po’, poi cedo.
Torniamo, maschi?

Torniamo amore, non c’è problema. Fermiamoci a raccogliere le castagne.


E Marito spiega a suo FiglioErrante cosa vuol dire Serendipity. Io faccio finta di saperlo. 

Come faccio finta di non dispiacermi per non essere arrivati in cima per colpa mia.
Penso a mia figlia. Come ogni volta che avverto il minimo fastidio fisico penso a ciò che ha attraversato lei, nella sua breve e luminosa esistenza.

A ciò che ci ha fatto credere non fosse dolore, paura, angoscia.
Non ho mai riflettuto sul concetto di Grazia. Concetto metafisico? Spirituale? Estetico? Filosofico?
Da quando Eva si è ammalata ed ha iniziato la sua strada di cure, strada non unica ma parallela nella sua vita di bambina, la parola Grazia è lei. Lei che non si oppone e non si lamenta, che mi sorride saggia e lontana quando ancora le giuro che guarirà e che la porterò in Australia a vedere i canguri.

Grazia è mia figlia, che senza tante parole ha sempre trovato il senso.
Prendiamo tantissime castagne. Ci pungiamo coi ricci, ridiamo, facciamo scricchiolare le foglie sotto gli scarponi.
È stata una gita anarchica. 

Anche il cielo lo era, oggi. Vento, arabeschi di nuvole e, tornando a Milano, un tramonto d’oro e fuoco, come un miraggio nel deserto.

Davide ha fatto delle foto, tirando fuori serio la macchina fotografica dallo zaino pieno di castagne. 

“Mamma, per te”.

In realtà questa foto scadente l’ho fatta io con l’egofono, quelle di Davide sono da scaricare.

Sentiero delle Espressioni

Val d’Intelvi, 16-17 settembre 2017


Il bosco di settembre è umido e grasso, ieri ha piovuto molto, la terra è scura, molle, feconda di funghi. I muschi risplendono, smeraldi ammorbiditi che invitano alla carezza. Guancia di bimba profumata la sera, a letto, abbracciata e calda.

I muschi sotto la mano però sono freddi, ingannevole velluto.

La salita dal parcheggio di Posa, quello consigliato dalla proprietaria dell’agriturismo quando ho chiamato per prenotare, è agevole e di breve durata.

Il bosco è perfezione in sè, la cura dell’uomo nel mantenere sgombro è percorribile il sentiero è evidente, segno di rispetto per il viandante e per lo scultore.

Prima delle Opere incontriamo l’Alpe Nova, macchia rossa che spunta fra le cime di betulle e castagno.

Dopo la curva iniziano le sculture.

Davide il Fotografo è molto preso dal suo reportage. Dai tronchi emergono gufi e serpenti, madri che allattano e volti antichi, pani nei cesti, scoiattoli ghiotti.

Siamo partiti dopo pranzo (“Amore i pensieri oggi mi spellano, portami via, ti prego…”); il pomeriggio volge rapido alla sera.

Arte: un ottavo suggestione
Il cielo ha ombre grigie sulle cime che ci circondano. Alle spalle Como, davanti il Monte Generoso.

Il freddo dell’imbrunire si accompagna all’annuncio di un lontano temporale. Stanotte pioverà sulla finestra inclinata sul cielo e le vette. Il rumore della pioggia ci abbellisce i sogni, le immagini vere le portiamo con noi, a casa.

Domenica saliamo in cima, la vista è incanto. Il lago, le montagne, due falchi che sembrano giocare in volo.


Riposiamo in silenzio, ascoltando questo cielo che sembra tanto vicino.

Ci inoltriamo nell’ultimo tratto di sentiero. In questo bosco di larici rossi le sculture sono più potenti, evocative.

A pian d’erba troviamo una cappella votiva essenziale, due lastre di pietra ed una madonna stilizzata. Una targa ad E., 2008, termina così Non piangete non sono lontana, solo dall’altra parte del cammino.

Il tema della memoria del contrabbando lascia spazio ad immagini elfiche, dai trattischerzosi  e dai tratti terrifici.


Ombre, ragnatele, ragni.


Il tema è la paura.


Sotto il mantello ognuno vede la sua Ombra.


Prima di tornare al punto di partenza ci sediamo a riposare ad un tavolo da picnic, sorvegliato dall’ultima scultura.

Un’immagine femminile regge e porta simboli e rimandi.

Davide la osserva e dice “secondo me è la scultura della Creazione”. Un secondo dopo, forse stupito, forse annoiato dalla sua stessa profondità corre sul prato a giocare a fresbee col padre.

08.09.2017, Muxia


Dopo colazione partiamo in pullman per Muxia,Colorata e rumorosa classe di pellegrini in gita.


I nostri geniali architetti, ispirati dalla visita al museo del mare del giorno prima, trovano per la notte un albergo speciale, il bela muxia, luogo di linee pulite e suggestioni profonde.


Mi spiace molto che io e claudio non potremo soggiornarvi, dovendo essere a Santiago entro le otto delle sera per ritirare la sedia a rotelle prenotata per il nonno, ma sono felice per loro, e mi commuove l’entusiasmo intrecciato a timore di Davide, attratto dalla feria che si sta approntando per le vie della città ma anche desideroso di stare con mamma e papà.


Vincono la voglia di essere grande… e le giostre che già si vedono per le strade.

“Il poetaguerriero racconta il suo viaggio…e lascia la sua firma ad un altro pellegrino…che lo guarda e vede la sua grandezza”. Sms di Eleonora la mattina dopo a colazione

Prima di prendere il pullman per Santiago ci rechiamo al Santuario della Vergine della barca.

Ode ai piedi nudi, che rifiutano ormai le scarpe, che scorticati e dolenti mi continuano a sop-portare
Uno dei tanti tassisti che abbiamo incontrato in questi giorni ha raccontato a me e a claudio, con grande trasporto e grande convinzione interpretativa, che il santuario venne distrutto da un incendio la notte della Vigilia del 2013, e la notte di Capodanno dello stesso anno una mareggiata mai vista spazzò via le macerie.


Il santuario è chiuso, ma la scogliera e le onde posseggono un richiamo per lo spirito tale che sento di trovarmi ugualmente in un luogo sacro.


La sera, a Santiago, io e claudio passeggiano per i vicoli intorno alla Cattedrale.

Siamo soli, ci concediamo la confidenza di ciò che non possiamo mostrare. 
Ed alla fine mi abbraccia e ridiamo, ripetendo che l’ultima birra fa schifo. (La citazione di Rumiz la tira fuori dal cilindro il ColtoVero di casa, ed io a mia volta la cito!)

La Casa Sandwich

Mi sono sempre chiesta se si trovano i segni che si cercano o se i segni trovano i cercatori.
Questo disegno è appeso da quasi un anno sul frigorifero nella nostra cucina. Dono di Tommaso per Eva. Nei brevi ma fulgenti mesi di scuola della mia Adorata, ne sono giunte a casa diverse varianti, emerse dalla cartella fra i quaderni ed il diario. Un simbolo colorato ed evocativo del loro fidanzamento

(ed uso una parola tanto seria in rispetto alla loro, di serietà. Una mattina, accompagnavo Eva in classe, quando Tommaso, timoroso ma determinato, mi ha così affrontata: io lei (indicando la sua Bella) la amo, e quando siamo grandi la sposo…)


Questo vestito, appeso allegramente al vento ad adocchiarci con disinvoltura, l’ha scovato Eleonora a Finisterre.


Alla fine delle terre iniziano le domande o ascoltiamo le risposte?

Cabo Fisterra

07.09.2017

Finisterre-Cabo Finisterre


Oggi giornata di riposo e silenzi.
Mattina in spiaggia, stesa sulla sabbia fredda e compatta a sonnecchiare e leggere. Il rumore del vento e l’odore del mare mi ipnotizzano; non so cosa stiano facendo gli altri, il tempo è immobile e dilatato. I pensieri meno taglienti, annodati alle onde ed ai gabbiani.

Dopo pranzo Claudio Davide zia Paola ed io visitiamo il museo del mare, su consiglio di Eleonora e Marco che ci sono stati in mattinata.

Un piccolissimo gioiello, dove un anfitrione poeta ci racconta per un’ora della pesca e dei suoi riti, accompagnandoci per mano in scenari mai immaginati. Ogni oggetto riporta in vita persone ed eventi. Davide è incantato. 

Finita la visita ci riuniamo in gruppo, ed andiamo, godendoci la passeggiata, il vento e la compagnia, al faro.


Km zero. 
La fine del cammino?


Andando al faro racconto alla tata un sogno di Claudio, incentrato su Eva, sul suo passaggio. Avevo pianto a singhiozzi urlati stamattina, ascoltandolo, ancora seduti a colazione, mentre Davide e zia Paola esploravano la spiaggia.

Ora, come una bambina dopo una cattiva giornata, mi lascio cullare dalle parole di Eleonora, luce e certezza che sempre hanno accompagnato il cammino della nostra guerriera. Non so quanto riesco a farle mie. Non importa. Sono un dono che non mi chiede conto dell’uso.
Oggi è giornata di pensieri, di riflessioni, di lacrime e di sogni.


Ognuno di noi si prende il tempo per “finire” il viaggio.

Io resto in disparte con Claudio, abbiamo i nostri riti, le nostre lacrime da mescolare all’oceano.

Qui, oggi.

La potenza del luogo attraversa i secoli. Le navi celtiche stanno ancora navigando nel tramonto.