Sabato 12.08.2017
Un mese dopo la morte di Eva ci siamo rintanati lungamente al mare, nel tentativo di dare a Davide una sorta di normalità di fine scuola, coi cugini, la tata, i nonni. Claudio e gli zii a fare i pendolari del we. Un’ammucchiata terapeutica, che ha fatto la giusta confusione anestetica che cercavo. Ora cerco il silenzio e la vicinanza solo con i miei due uomini.
Nei giorni della famiglia compattata a testuggine, anche in previsione del cammino di settembre, abbiamo fatto diverse escursioni sul monte di Portofino, un gruppo chiassoso di 4 piccoli esploratori variamente accompagnati.
Siamo poi stati un paio di volte a Genova all’acquario, attente visite col nonno ed i suoi racconti.
Ma più che altro siamo stati in spiaggia ed in mare.
Il nostro amico Marco l’altro giorno mi ha scritto “ragazza mi avrai sulla coscienza: ho scelto le vacanze a Gaeta per la foto di Davide con la frase di Karen Blixen”.
Io, invece, di quella frase, necessito le altre due forme di acqua salata. Una è privata, l’altra è la costante di questi frammenti narrati.
Ed ora che siamo solo noi tre i camminatori, ne sento ancora di più il potere curativo.
Stamattina siamo usciti, zaini, racchette, scarponcini e borracce, ed abbiamo affrontato scanzonati (e cantanti) la strada lungomare che da Santa Margherita ci ha portati a Rapallo. La strada è bellissima, soprattutto ora che hanno allungato il marciapiede e non si cammina più proprio sulla carreggiata. Certo, un sabato di agosto non solo il traffico di auto è notevole.
Anche per questo ho apprezzato molto il momento in cui abbiamo iniziato il sentiero verso Monteallegro.
Da Rapallo si attraversa, raggiungendola con una ripida salita dal panorama incantevole (e dalle more succosissime, che Davide ci ha offerto in vari punti) la frazione di Sant’Ambrogio, dove, oltre a riposarci un attimo davanti alla Chiesa ed osservare i preparativi per la festa patronale prevista proprio stasera, abbiamo ricaricato le borracce (e per fortuna avevamo letto che era l’ultima fontana: il cammino ha richiesto fino all’ultima goccia d’acqua!).
La strada entra poi nel bosco, il cui affascinante aspetto selvaggio è in parte rovinato dalla cattiva condizione del tracciato, che in più di un punto appare troppo stretto e scosceso.
Abbiamo camminato diverse ore, salendo più di 600 mt, e chiedendoci ad un certo punto se non era meglio tornare indietro.
Il mio SaggioCompagno non ha insistito per farmi riscendere: oltre a conoscere la mia passione per le gite ad anello, mi ha letto dentro il bisogno di arrivare al Santuario.
Non è la devozione, o non solo, o non sempre.
È la spiritualità del luogo; le montagne portano quasi sempre tracce della ricerca dell’uomo di un contatto con il trascendente ed io sento forte il richiamo In questa direzione.
Non so se credo in Dio, non so se credo nell’immortalità come la voglio ad ogni costo immaginare. So che credo fermamente e caparbiamente nell’uomo, nell’amore e nella fiducia che esista un senso, per ognuno.
L’ultimo pezzo di strada, in Costa e punteggiato dalla via Crucis, è stato un momento di grande intensità.
La soddisfazione per la fatica fatta, la bellezza della via, il sorriso pieno di Davide, l’ora della sera che preferisco.
Ci siamo fermati per una meritata pausa aperitivo all’albergo dietro il santuario (che vista l’ora era comunque chiuso).
La panaché dopo la fatica mi sembra Nettare (“mamma a Santiago nello zaino ti porto litri di panaché!”) e Davide aveva voglia di raccontarci la storia dei cinghiali.
La fine dell’anello sarà per la prossima volta: la discesa l’abbiamo fatta sulla yeti dei nonni, venutici a prendere e successivamente convinti a fermarci a magiare l’asado alla sagra di sant’Ambrogio.
La vista dalla piazza della Chiesa è un incanto, il cibo era buono, la confusione piacevole, la musica adatta alle danze.
La malinconia e la mancanza enormi.